Se tornasse in vita Sciascia

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18 marzo 2016 di Massimiliano Amato

Leonardo Sciascia. Ci vorrebbero la sua arguzia, la sua penna, la sua passione civile per descrivere la Salerno di questi anni, sempre più simile alla Sicilia de “Il giorno della civetta”, o di “A ciascuno il suo”, o meglio ancora de “Il contesto”, forse il romanzo più bello di tutti. Che cosa vedrebbe Sciascia? Cosa registrerebbe? Un provincialissimo clima di consociativismo all’interno del quale sono stati sciolti, come cadaveri nell’acido tanto per rimanere nell’ambito della metafora mafiosa, la cultura del conflitto e perfino qualche articolo della Costituzione. Primo fra tutti il 112, che prescrive all’ufficio del pubblico ministero l’obbligo dell’esercizio dell’azione penale. Nella piramide sociale, il vertice è rappresentato dal binomio politica-affari, strutturato intorno a due assi principali: l’edilizia privata che qui è riuscita, grazie a straordinarie e specialissime condizioni di favore, a gonfiare una delle più grandi bolle speculative della storia economica del Mezzogiorno, e le opere pubbliche. Sui cui appalti si moltiplicano le segnalazioni, i sospetti, le denunce di infiltrazioni: le ultime in ordine di tempo riguardano i lavori per la costruzione del traforo che dovrebbe collegare il porto commerciale con la zona delle autostrade, pomposamente definito “Porta Ovest”. Ma a quanto pare, per il castigamatti ufficiale dell’Italia renziana, il presidente dell’Autorità anticorruzione (e di vigilanza su tutti gli appalti pubblici) Raffaele Cantone, non c’è materia d’intervento. Sarà. Ci sono poi due assi secondari, poco conosciuti. Uno è il settore del by night o più in generale del divertimento, all’interno del quale opererebbe in condizioni di monopolio una lobby, strettamente connessa per via sia parentale sia istituzionale al potere municipale, che sarebbe seduta ormai su una montagna di danaro perché riesce a condizionare (diciamo così) la dinamica riguardante il rilascio delle autorizzazioni necessarie per aprire nuovi locali. L’altro è il settore del commercio. Interessato, in ogni parte della città ormai, da un turn over di sigle, insegne, negozi troppo frenetico per non destare perplessità e preoccupazioni. La base geometrica della piramide coincide con la base elettorale del sistema di potere cittadino, ma su di essa sarebbe esercizio noioso dilungarsi giacché si sa già tutto. Bastano due parole, due sole: società miste. Punto. Più “sciascianamente” interessante è esaminare la parte mediana della piramide, perché è lì che il cosiddetto “Sistema Salerno” ha reperito le risorse necessarie per sopravvivere così a lungo (23 anni), e continua tuttora a reperirle, tetragono a tutti gli scossoni connessi alle diverse stagioni politiche che il Mezzogiorno e il Paese intero hanno conosciuto in un lasso di tempo così ampio. E’ quello il luogo, non solo geometrico, in cui il regime ha trovato e permanentemente trova ogni sorta di legittimazione, formale e sostanziale. E’ stato dall’assoggettamento dei corpi sociali intermedi – le libere professioni tecniche intimamente collegate alle superfetazioni cementizie dell’edilizia privata e, naturalmente, alle opere pubbliche, gli organi di controllo come le magistrature (tutte: da quella penale a quella amministrativa), l’avvocatura, le organizzazioni datoriali – che esso ha ricavato infatti la linfa vitale per crescere, andare avanti, riprodursi e rigenerarsi continuamente. Questo  accrocco mostruoso, in cui controllori, controllori dei controllori e controllati vanno (anche pubblicamente e senza vergogna) a braccetto scambiandosi favori, ha replicato, di fatto perpetuandola, l’inveterata abitudine tutta salernitana del potere delegato “in concessione” al notabile politico di turno da un gruppo ristretto di famiglie storiche, attraverso patti rinnovabili elezione dopo elezione. E la vita pubblica cittadina è stata ridotta a un guscio vuoto. E’ per questo che sarebbe necessario il genio affilato del grande intellettuale di Racalmuto, il primo a capire che “mafia” non è solo un’organizzazione criminale, ma il modo con cui la borghesia meridionale ha inteso, fin dal periodo immediatamente port unitario, i rapporti sociali e politici. E, purtroppo, una modalità prevalente nell’esercizio del potere, pur in una cornice formalmente democratica. Uno specchio in cui, oggi, si trova riflessa nitidamente l’immagine di Salerno.

MASSIMILIANO AMATO

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