La rarefazione dei partiti

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25 giugno 2014 di Massimiliano Amato

Il cambio di stato è avvenuto sotto i nostri occhi, senza che quasi ce ne accorgessimo. Non più “solidi” già da tempo, da liquidi che erano i partiti campani sono diventata gassosi, eterei, impalpabili. A meno di dodici mesi dall’appuntamento con l’elezione del nuovo presidente della Regione il segno dominante è l’indeterminatezza, sia in un campo che nell’altro. Il centrodestra, ostaggio dei dubbi esistenziali di Stefano Caldoro (nella foto), non ha, di fatto, un candidato certo. Logica vorrebbe che il governatore uscente si candidi a succedere a se stesso. Ma finora il diretto interessato ha lanciato segnali contraddittori. E il padre, recentemente, lo ha invitato apertis verbis a lasciar perdere. Ora, il padre del presidente della Regione non è uno qualsiasi. Antonio Caldoro, Tonino per amici e compagni, oggi ultraottantenne, è stato a lungo un leader sindacale (tanto per dire: faceva parte della segreteria nazionale della Cgil nel 1970, quando fu approvato lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori) e, successivamente, una figura di primo piano del socialismo napoletano: deputato per più legislature, diverse volte sottosegretario con deleghe “pesanti”. Uno, insomma, che di politica ne ha masticata parecchia, e tutta di ottima qualità. In realtà, Caldoro senior intravede tutte le incognite di cui è disseminato il cammino dell’attuale governatore. Il centrodestra che 5 anni fa vinse anche con un buon margine non esiste più, sotto ogni punto di vista. Non c’è più l’organizzazione, che condusse nel giro di pochi anni i berluscones di Campania a conquistare tutte le roccaforti della sinistra. Conseguentemente, non ci sono più nemmeno i voti: grazie all’effetto Renzi (e a quello soltanto), il centrosinistra è riuscito a invertire il trend negativo, e se alle ultime europee lo scarto tra Pd e Forza Italia si è mantenuto entro limiti tutto sommato accettabili per le truppe dell’ex Cavaliere, è stato perché nell’elettorato tradizionalmente di sinistra la disaffezione al voto ha messo ormai radici profonde. Teoricamente, sul fronte interno Caldoro avrebbe una prateria di fronte a sé.  Ha vinto la guerra contro tutti i nemici, senza peraltro sparare un solo colpo. Chi cinque anni fa tentò di ostacolarne in ogni modo (anche attivando la macchina del fango) la scalata è stato messo in condizioni di non nuocere. Ma quello che sul piano politico è un indubbio elemento di forza, dal punto di vista elettorale rappresenta un fattore di obiettiva debolezza. Le truppe di Nicola Cosentino (e quelle di Giggino Cesaro) si sono dissolte: è dell’altro giorno la notizia dello scioglimento di Forza Campania, la formazione che l’ex sottosegretario in carcere dallo scorso 3 aprile aveva messo in campo proprio per condizionare il cammino del governatore nell’ultimo scorcio di legislatura. Con un capo (Berlusconi) ormai impegnato solo a parare gli ultimi, devastanti, colpi dell’avversa sorte giudiziaria, sarà molto dura per il centrodestra risalire la corrente. E i tentennamenti che mostra in questa fase decisiva e molto delicata sembrano confermare che Caldoro non è (ma soprattutto non si sente) tagliato per ruoli di leadership politica. Forza Italia annaspa, il Pd, che ha a disposizione un’occasione quasi irripetibile per riprendersi il governo di Palazzo Santa Lucia, è in piena confusione. Ogni giorno, un nome diverso. Pessima maniera per gestire una rimonta elettorale che ha del prodigioso, considerati i risultati delle Politiche del 2013. Certo, nessuno può negare che siamo di fronte ad una fase politica in cui si fa fatica a mettere completamente da parte il vecchio, e il nuovo stenta ad affermarsi. Ma le indecisioni di oggi potrebbero costare carissime. Perché il processo di “rarefazione” in atto concede vantaggi insperati (e assolutamente immeritati) ad avventurieri pronti ad occupare lo spazio colpevolmente lasciato vuoto dall’attendismo di Renzi (che aveva puntato all’inizio su Cantone, ma poi se l’è bruciato mettendolo a capo dell’Autorithy anticorruzione) e dei suoi proconsoli campani. Il passaggio dei partiti dallo stato “liquido” a quello “gassoso” potrebbe avere come logico corollario, allora, la tracimazione dei qualunquismi, di ogni risma e colore: arancione, rosso antico, e così via. Da Napoli a Salerno arrivano segnali inequivocabili: fioriscono le autocandidature, si approntano eserciti, si compilano liste. Operazioni con un minimo comune denominatore: mettere pressione al leader del Pd, che sulla risoluzione del rebus – Campania si gioca parecchio della credibilità accumulata negli ultimi mesi.

MASSIMILIANO AMATO

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