Il re degli alberi

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11 giugno 2014 di Massimiliano Amato

‹‹Un giorno, gli alberi si misero in cammino per ungere un re che regnasse su di loro; e dissero all’ulivo: ”Regna tu su di noi”. Ma l’ulivo rispose loro: “E io dovrei rinunziare al mio olio che Dio e gli uomini onorano in me, per andare ad agitarmi al di sopra degli alberi?” Allora gli alberi dissero al fico: “Vieni tu a regnare su di noi”. Ma il fico rispose loro: “E io dovrei rinunziare alla mia dolcezza e al mio frutto squisito, per andare ad agitarmi al di sopra degli alberi?”. Poi gli alberi dissero alla vite: “Vieni tu a regnare su di noi”. Ma la vite rispose loro: “E io dovrei rinunziare al mio vino che rallegra Dio e gli uomini, per andare ad agitarmi al di sopra degli alberi?”. Allora tutti gli alberi dissero al rovo: “Vieni tu a regnare su di noi”. Il rovo rispose agli alberi: ‹‹Se è proprio in buona fede che volete ungermi re per regnare su di voi, venite a rifugiarvi sotto la mia ombra; se no, esca un fuoco, e divori i cedri del Libano!”››. Quello che avete appena letto è il famoso “discorso della montagna” di Iotam contenuto nel Libro dei Giudici (Antico Testamento) e rappresenta, probabilmente, l’apologo più completo sull’irriducibile dicotomia – antica almeno quanto le primissime forme di autorità e organizzazione sociale presenti sulla terra – tra potere e servizio. Tra le due principali modalità di interlocuzione e relazione con il resto della specie, l’ulivo, il fico e la vite, alberi pregiati dai quali si ricava olio, frutti succosi e buon vino, scelgono senza dubbio la seconda, vivendo anzi la prima come una forma di “mutilazione” (le tentazioni del potere). Il rovo, pianta inutile nell’inerzia forzata a cui la condannano i suoi dannosi aculei, si fa volentieri incoronare. Arrivando ad auspicarsi, in caso contrario, un incendio che divori tutte le altre piante. La favola del re degli alberi ha aleggiato per un attimo domenica pomeriggio sulla chiesa del Volto Santo a Pastena, durante il bel discorso con cui don Luigi Ciotti ha inaugurato il presidio cittadino di Libera. E’ stato quando il coraggioso sacerdote del gruppo Abele ha declamato la parola d’ordine su cui si va strutturando il rinnovato impegno dell’associazione in prima linea nella lotta alle mafie. La parola, che ha ormai sostituito il termine “legalità” talmente usurato da essere uscito fuori corso legale come una moneta scaduta, è “responsabilità”. Ora, provate a sostituire il termine “servizio” con “responsabilità”. Vi accorgerete che essi sono, in fondo, intercambiabili. E che quindi il conflitto, oggi, è tra “potere” e “responsabilità”. Dentro questa drammatica contrapposizione, sotto forma di contraddizione irrisolvibile, noi riusciamo, anche con l’ausilio del discorso della montagna di Iotam, a leggere e interpretare sia la gravissima deriva morale e civile nella quale il Paese viene ciclicamente scaraventato da tangentisti, malversatori, imprenditori felloni e infedeli servitori delle istituzioni (ogni riferimento agli ultimi accadimenti è voluto), sia – scendendo pe li rami – vicende a noi più vicine. Considerato che siamo ormai alla conclusione di un ciclo di potere ultraventennale,  non appare inopportuna qualche domanda impegnativa. Tipo: quale modello di potere si è strutturato in questa città? Un potere realmente “responsabile”, cioè di servizio al cittadino, ai suoi bisogni più veri e cogenti (che sono il lavoro, la casa, un reddito dignitoso), o piuttosto un potere che, nell’inutile elefantiasi delle grandi opere, ha di fatto azzerato qualsiasi interlocuzione con la comunità di riferimento, trasformata in platea acritica e plaudente per infinite passerelle trionfali? Tanto per rimanere nella metafora biblica: quale olio prelibato, quale frutto succoso, quale nettare dionisiaco è derivato per i salernitani? La finta vetrina nazionale delle Luci d’artista? Il Crescent? Gli schizzi e i ghirigori d’autore in gran parte rimasti sulla carta, oppure trasformati in cantieri eterni? Polemiche vecchie, trite e ritrite, si dirà. Ma è l’istantanea di una città della quale comincia a trapelare all’esterno, oltre la fitta cortina propagandistica, il lato B: la desertificazione industriale e culturale, un lento ma costante decremento demografico, un’accentuazione della terziarizzazione dell’economia fondata su frequentissimi e sospetti turn over di negozi ed esercizi commerciali. Sullo sfondo, le opache relazioni tra politica ed economia (il crac Amato, con il coinvolgimento dell’Mps), e la straordinaria rivincita del mattone in anni di completa depressione edilizia. Salerno, per ora, è smarrita nell’ombra del rovo di Iotam.

MASSIMILIANO AMATO

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